lunedì 4 aprile 2011

Esperimento Carcerario di Stanford part.2/6 – Guardie e detenuti


Leggi la parte 1

Le guardie
Come nella realtà le guardie vennero informate dell’importanza della loro mansione e dei rischi che potrebbero correre, ma (a differenza della realtà) l’unica direttiva che ricevettero fu di fare tutto ciò che ritenevano necessario per mantenere l’ordine e farsi rispettare dai prigionieri. Questo senza prima seguire alcun tipo di corso o addestramento.

Tutte le guardie indossavano una divisa color caco, vennero munite di fischietto e manganello e portavano tutte degli occhiali a specchio.
L’utilizzo degli occhiali a specchio è stato deciso per non far intravedere gli occhi e le espressioni (sintomo di emozioni e quindi di debolezza) rendendo così “inumana e forte” la loro presenza (foto 1).

Ovviamente lo studio comportamentale delle guardie era tanto importante quanto quello dei prigionieri. Ambedue i gruppi si trovavano per la prima volta a ricoprire tali ruoli.
I carcerieri erano divisi in gruppi di tre e si davano il cambio ogni otto ore.

I detenuti:
Una volta arrivati i prigionieri vennero condotti dal “direttore del penitenziario della contea di Stanford”, che li informò della loro condizione di carcerati e dei propri “crimini” e successivamente vennero perquisiti e cosparsi di una sostanza contro germi e pidocchi (foto 2).

Questa è una procedura utilizzata anche in una prigione del Texas, come documenta questa foto di Danny Lyons (in approfondimento).


[spoiler show="Mostra approfondimento" hide="Nascondi approfondimento"][/spoiler]





Ad ogni prigioniero venne consegnata una uniforme da indossare senza mutande o biancheria intima, con stampato fronte e retro il numero identificativo e da quel momento si sarebbero dovuti riferire alle guardie o agli altri detenuti esclusivamente tramite quello. Non avevano più nome e cognome, solamente un numero, rendendoli così anonimi e causando la conseguente perdita dell’identità, data anche dalla rasatura dei capelli subita qualche istante prima.

Dopo aver indossato tali “uniformi” si riscontrò che i detenuti iniziarono a camminare e a sedersi in modo diverso, più femminile.

Oltre a questo venne applicata una pesante catena con lucchetto alla caviglia destra, gli vennero dati dei sandali di gomma ed un berretto fatto con calze di nylon da donna. Tale catena li opprimeva, e li rendeva consci della propria condizione di prigionieri anche mentre dormivano, perché bastava che si girassero nella branda per farla sbattere sulla caviglia dell’altro piede svegliandoli e ricordandogli l’impossibilità dell’evasione, anche in sogno (foto 3).

Il berretto veniva utilizzato in sostituzione della capigliatura, che a seconda della lunghezza può esprimere il proprio modo di essere. Questa è una pratica eseguita soprattutto nelle carceri militari.
Nella gallery trovate la fotografia di uno dei “detenuti” prima e dopo la rasatura, vi renderete subito conto dell’enorme differenza (foto 4).

I detenuti erano coscienti che avrebbero potuto subire abusi di potere, tagli delle razioni alimentari, violazione della privacy e dei diritti civili, ed avevano firmato il proprio consenso.

I carcerati erano chiusi nelle celle a gruppi di 3.

Nota: altre 24 persone attendevano pronte a subentrare nell’esperimento in caso di necessità.

So che i preamboli son stati lunghi, ma erano necessari per una corretta comprensione dei personaggi in gioco, e del fatto che nulla è stato lasciato al caso. Fin da subito si nota come si cerchi di rendere il più succube possibile ogni prigioniero.

Dal prossimo post inizieremo ad entrare nel vivo dell’esperimento, analizzando i primi fatti che hanno comportato una vera e propria tragica reazione psicologica a catena.

Continua...

[gallery link="file" columns="2"]

Esperimento Carcerario di Stanford – Part.1/6 – Il carcere


Articolo inserito su Lega Nerd.

Eccoci con il primo esperimento scientifico estremo: Il Carcere Stanford.

Dato che è molto lungo e c’è tanto materiale sia video che fotografico lo dividerò in sei post.

Le fonti alla quale attingo sono il sito ufficiale dell’esperimento e parte della tesi di laurea di un mio conoscente dalla quale estrapolo le parti più interessanti.


Assistenti di ricerca e collaboratori:


Carolyn Burkhart, David Gorchoff. Christina Maslach, Susan Phillips, Anne Riecken, Cathy Rosenfeld, Lee Ross, Rosanne Saussotte, Greg White.

Molti di voi avranno visto il film The Experiment ma non tutti sanno che è stato tratto da un esperimento realmente condotto nel 1971 da un team di ricercatori diretti dal Professor Philip Zimbardo.

L’esito fu così drammatico da far sospendere la ricerca dopo appena 6 giorni e da coinvolgere i parenti dei soggetti, avvocati, polizia ed addirittura un prete, ma ci arriveremo a tempo debito.

Tutto inizia quando un gruppo di 70 persone risponde affermativamente ad un annuncio sul giornale che offre 15 dollari al giorno in cambio della partecipazione ad un non specificato studio sugli effetti della vita in prigione.

Dopo aver sottoposto tutti i candidati a test di personalità al fine di escludere coloro che hanno problemi psicologici, malattie o fatto abuso di droghe ne vengono scelti 24; per la precisione tutti studenti universitari, in piena salute e di ceto medio.
Essi vengono divisi in modo assolutamente casuale (col lancio della moneta) in due gruppi: metà saranno guardie e metà prigionieri. Il fatto che non ci sia alcuna differenza tra le persone nei due gruppi è estremamente importante.


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La mattina seguente i prigionieri ricevono a casa propria la visita di un auto della polizia di Palo Alto che li arresta per i crimini più svariati sotto gli occhi sbigottiti dei vicini e vengono condotti nel seminterrato del Dipartimento di Psicologia di Stanford adibito a prigione.

Nell’approfondimento potete vedere il video dell’operazione.
[spoiler show="Visualizza approfondimento" hide="Nascondi approfondimento"][youtube sYtX2sEaeFE nolink][/spoiler]


Il carcere
Per realizzare una prigione il più possibile realistica il Prof. Zimbardo si rivolse ad un gruppo di esperti, incluso un ex detenuto che ha scontato una pena di 17 anni (avrà il suo spazio nella sesta parte dell’articolo).

Oltre alle celle i prigionieri potevano accedere solamente al “cortile” che era un corridoio chiuso da alcune assi ove passeggiare durante l’ora d’aria e per espellere i bisogni corporali venivano bendati per evitare che scoprissero vie di fuga.

Le celle vennero create sostituendo le porte dei laboratori con altre fatte di sbarre d’acciaio, con sopra in bella mostra il numero. Erano così piccole da contenere solamente tre brandine e null’altro, oltre ad un citofono per eventuali comunicazioni contenente un microfono celato, così da spiare le conversazioni dei detenuti. Non c’erano finestre o orologi, una condizione questa che portò in seguito a qualche esperienza di perdita della cognizione del tempo.

Di fronte alle celle c’era “Il Buco”, uno stanzino così piccolo da permettere ad un eventuale “cattivo prigioniero” rinchiuso dentro di stare solamente in piedi.

Nell’approfondimento potete vedere il video degli stanzini prima che fossero adibiti a celle.


[spoiler show="Visualizza approfondimento" hide="Nascondi approfondimento"][youtube TShFPParenk nolink][/spoiler]


[Edit]
L’esperimento è stato ripreso anche nella serie tv “Life”: per la precisione nella quarta puntata della seconda stagione, intitolata “Non per niente”.

[Edit 2]
L’esperimento è stato citato anche nella serie televisiva “Veronica Mars” per la precisione nella Stagione 3 Episodio 2 “Dietro la porta”.

Leggi la seconda parte.

Intervista a Marcello Signore


In occasione della presentazione del canale televisivo La3 ne ho approfittato per fare paio di domande a Marcello Signore, il conduttore del programma “Mi Chiamo Nerd”.

[youtube lfovzgwTuls nolink]

http://www.flameproduction.it/sito/intervista-a-marcello-signore/

Presentazione canale televisivo La3


Giovedì mi sono recato a Trezzano sul Naviglio per la presentazione di La3, il nuovo canale televisivo che partirà da domani sulle frequenze di Sky.

Nel video trovate un’intervista al Director TV.

Mi pare che si tratterà di un canale con molte trasmissioni interessanti, e mira ad essere un punto d’incontro tra il web e la tv.

[youtube WSZkMkLkxB8 nolink]

http://www.flameproduction.it/sito/presentazione-canale-televisivo-la3/

Il miglior firewall del mondo

La donna è il miglior firewall esistente al mondo e lo si dimostra con qualche piccolo calcolo:


1. Una cellula umana contiene circa 75MB di informazioni genetiche contenute nel DNA.
2. Uno spermatozoo contiene la metà dei cromosomi di una cellula normale, quindi metà DNA, quindi circa 37,5MB di informazioni.
3. Un ML di sperma contiene circa 100 milioni di spermatozoi.
4. In media una eiaculazione dura 5 secondi e contiene 2,25 ml di seme.
5. Questo significa che il throughput di un uomo è circa

(37,5MB x 100.000.000 x 2,25)/5 = 1.687.500.000.000.000 byte/secondo

quindi 1.6875 Тerabyte/sec

Questo significa che un ovulo femminile sopporta un attacco di tipo Distributed Denial of Services da quasi 1,7 terabyte per secondo, e permette il passaggio di UN SOLO pacchetto (molto raramente DUE), questo significa che è il firewall hardware più efficente al mondo.

Purtroppo quel solo, unico, pacchetto mette down tutto il sistema per i successivi 9 mesi. :-)



Fonte: SpippolAzione.net


mercoledì 30 marzo 2011

Assassin's Creed: assassini della lettura.


Da sempre la lettura è percepita dai giovani come un’impresa ostica. Leggere infatti non occupa uno spazio ben preciso durante la giornata, ma spesso (quando va bene!) viene usata come tappo dei buchi di noia. La lettura viene associato allo studio e sicuramente la situazione non migliora se il libro, oltre ad essere sentito come noioso, è fondamentalmente inutile. Inutile non solo da un punto di vista pratico, ma soprattutto emotivo, culturale ed artistico.
Facendo parte dello spettro sociale anche l’universo videoludico non sfugge a questo pregiudizio giovanile. Intorno all’oggetto artistico videogame ruotano infatti molte forme d’arte tra cui la letteratura che, come detto prima, viene quasi totalmente snobbata dalla massa videogiocante.
Se poi le software house sfruttano questa normale tendenza a scopi economici questa condizione risulta tragica.
Il caso di  cui vi voglio parlare, che rientra in questa vergognosa descrizione, è la Ubisoft con Assassin’s Creed. Probabilmente è inutile scrivervelo, ma Assassin’s Creed è ormai da considerare una delle serie di punta del produttore francese. Non solo per quanto riguarda gli enormi successi di vendita, ma anche per gli ottimi giudizi della critica.
Io sono uno di quelli che compongono la massa di videogiocatori amanti del credo. Di conseguenza, entrando in una libreria del centro di Torino, non ho potuto fare a meno che comprare a 10,50€ la versione superbestseller di Assassin’s Creed Rinascimento, il primo romanzo ambientato nel mondo degli assassini e dei templari.
Aprendo il libro ci si trova davanti ad una citazione di nientepopodimenoche Leonardo da Vinci: “Quando io crederò imparare a vivere, e imparerò a morire.”. Già. In quel momento il mio pensiero è stato: incominciamo bene!
Fin dalle prime pagine avevo capito in cosa mi fossi imbattuto: una copia spiccicata della sceneggiatura di Assassin’s Creed 2. Questo a mio avviso è il difetto maggiore proprio per il motivo accennato poco prima: la totale inutilità derivata dalla lettura di questo romanzo. Mi metto ad esempio nei panni di un ragazzo di quindici anni che dopo aver completato il gioco entra come me in libreria e vede sugli scaffali questo romanzo. Me lo immagino un ragazzo normale, non particolarmente attratto dalla lettura, ma comunque disposto a comprare (e soprattutto leggere!) il libro perchè spinto dalla sua passione videoludica. Quale sarebbe la sua reazione nel constatare che lui, che ha letto il libro, non ha acquisito alcuna conoscenza in più su Assassin’s Creed rispetto ad un suo compagno che invece ha solo giocato al videogame? La conseguenza è proprio il diventare consapevoli che la lettura, in questo caso addirittura di grande interesse personale, sia inutile nella sua totalità.
Questo è proprio uno di quei casi in cui ci si rende conto cosa siano disposti a fare i produttori in cerca di pecunia! Arrivare a vendere carta straccia sfruttando semplicemente la popolarità di un brand. Sicuramente avrebbero fatto una figura migliore nel vendere una copertina con dentro delle pagine vuote in cui ci fosse scritto: “Crea la storia dell’assassino che c’è in te!”.
Ovviamente non sono così esagerato semplicemente perchè la sceneggiatura è talmente copiata che alcuni dialoghi sono uguali identici, ma anche per altri evidenti difetti.
Il primo deriva dalla totale mancanza di una rilettura della traduzione. Gli errori grammaticali e sintattici infatti non si fermano solo alla citazione leonardiana, ma proseguono in tutto il romanzo tempestando ogni capitolo. Oltretutto ho saputo che nella prima stampa, che costava 9,50€ in più, erano presenti molti più refusi.
Non è raro inoltre trovare veri e propri errori (e non refusi!) che colpiscono anche i protagonisti di fantasia della storia. Ad esempio Cristina, la fidanzata fiorentina di Ezio, che rappresenta l’unica novità rispetto alla trama di Assassin’s Creed 2, nel romanzo fa di cognome Calfucci, mentre in Assassin’s Creed  Brotherhood si chiama Vespucci, come il noto esploratore.
Anche a livello generale lo stile di Assassin’s Creed Rinascimento fa acqua da tutte le parti risultando estremamente sempliciotto nei ragionamenti logici, nei dialoghi, nelle descrizioni dei personaggi e dei luoghi.
Conseguenza questa anche del fatto che certi dialoghi e certe situazioni, che ben si adattano ad un gioco, risultano paradossali all’interno di un libro. Un esempio? Eccovi serviti:
Siamo nel bordello di Paola che ci sta insegnando da qualche giorno a confonderci tra la folla.
[Infine, il terzo giorno, i mordaci commenti] di Paola [diminuirono e al mattino del quarto riuscì a passare sotto il naso di Paola senza che lei battesse ciglio. Di fatto, dopo cinque minuti in silenzio, paola gridò: <<D’accordo, Ezio, mi arrendo! Dove siete?>>. Soddisfatto, uscì da un gruppo di ragazze, la copia sputata di uno dei servitori di casa. Paola sorrise, battè le mani e tutti applaudirono. Il lavoro finì lì.]. Considerando che tutto questo avviene [nel giardino cintato da alte mura dietro la casa] tra sole venti ragazze divise in cinque gruppi di quattro, risulta appunto assurdo ed improponibile scrivere che Paola non riesca a vedere Ezio! Un conto infatti è inserire in maniera intelligente un tutorial che ti spieghi come sfruttare al meglio una particolarità del gameplay all’interno di un videogioco, un’altra cosa è leggerlo su un libro!
Inoltre come già accennato le descrizioni dei personaggi, anche quelli importanti, è del tutto superficiale sia dal punto di vista psicologico sia fisico.
Ancora più grave però è la superficialità con cui vengono descritti i luoghi e le bellissime opere d’arte del Rinascimento italiano. Aspetto su cui, ad una prima occhiata, si potrebbe passare sopra. Il problema è che al fondo del libro c’è scritto: Oliver Bowden (l’autore del romanzo) è lo pseudonimo di un affermato scrittore ed esperto del Rinascimento italiano. Questa dichiarazione va totalmente in conflitto con i contenuti letti perché nel romanzo manca qualunque tipo di approfondimento storico, politico, sociale o artistico che riguarda il periodo di Ezio Auditore. Inizialmente infatti pensavo che l’uso dello pseudonimo fosse per nascondere la vera identità di un docente accademico intimorito dal pubblicare un romanzo su un videogame. In realtà ora sono sempre più convinto che lo pseudonimo sia stato solo un modo per mascherare un impiegato qualunque della Ubisoft che si è messo a fare uno sfrenato copia-incolla delle sceneggiature.
In definitiva è un libro che non consiglio a nessuno! Proprio perché mi risulta difficilissimo trovare un target a cui questo romanzo possa essere rivolto.
A chi ha già giocato Assassin’s Creed 2 non lo consiglio perché sono tutte cose che ha già visto e non aggiungerebbe nulla alla storia.
A chi magari vuole giocare in futuro le avventure di Ezio non lo consiglio perchè si rovinerebbe una trama che è meglio giocare rispetto a leggerla.
A chi non gliene importa nulla dei videogame o di Assassin’s Creed non glielo consiglio perchè anche dal punto di vista puramente letterario, emozionale o d’intrattenimento Assassin’s Creed Rinascimento è un totale fallimento.

venerdì 25 marzo 2011

Social menu che segue lo scorrimento della pagina



Avete un sito montato su una piattaforma WordPress e volete un social menu che segue lo scorrimento della pagina? Ma è semplicissimo!

Avrete sicuramente notato i bottoncini qui a sinistra con le icone dei vari servizi sociali (Facebook, Youtube, ecc.) alla quale si appoggia MenteDigitale.
Per farlo basta un semplicissimo plugin per WordPress ed un paio di click.

Si installa come un qualunque altro plugin, è compatibile anche con versioni più vecchie di WordPress e la configurazione è davvero elementare.

Rimanete connessi!

WIlliam J.

Download plugin

Social menu che segue lo scorrimento della pagina

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Si installa come un qualunque altro plugin, è compatibile anche con versioni più vecchie di Wordpress e la configurazione è davvero elementare.

Rimanete connessi!

WIlliam J.

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[veoh v20818262dbKxmqFT]

[vimeo 7563705]

[youtube If9WA86phB4 nolink]

Video intervista a Mr.Ubisoft Italia Marco caprelli

Dopo mille peripezie siono finalmente riuscito a terminare il montaggio dell’ intervista rilasciatami da Marco Caprelli, il Group Brand Manager di Ubisoft Italia.

Come promesso ho riportato le domande da voi proposte nel post dedicato unite a quelle fatte dalla Gilda degli Assassini del fanday con il risultato che potete vedere e che giudicherete.

Due parole sul termine arcano che appare all’inizio del primo video: “Flame Production”.
Col supporto di un cameraman con le contropalle farò interviste a personaggi di rilievo nel mondo dei videogiochi, informatica, underground culture… Testimonierò eventi e tutto ciò che mi viene in mente.

Il progetto prevede comunque di cercare di mantenere un livello (parlando di personaggi ) sempre alto cercando di testimoniare il lato degli eventi che gli altri non pensano di filmare.

Come noterete da questo primo lavoro le interviste avvengono con un tono piuttosto informale e senza alcuna paura di mettere in imbarazzo l’ospite “sotto interrogatorio” con domande scomode e/o imbarazzanti (vedi domanda di Laido sulle tette).

La cosa fondamentale è che sempre (e sottolineo sempre) prima di recarmi dall’ospite di turno chiederò in giro per il web eventuali domande che gli users vorrebbero porgere, così da rendere attiva e partecipe la rete.

Ecco i link di riferimento di questo nuovo progetto:


Sito ufficiale

Pagina Facebook.
Canale Youtube.

Se volete mandarmi consigli o “sgami” per future interviste o reportage oltre ai link citati potete scrivermi alla mail info.flameproduction@gmail.com

Qua sotto trovate l'intervista divisa in tre parti.
A voi la parola.





lunedì 21 marzo 2011

Intervista Roberta Scalvini – Morbid ZOOmbie



Articolo inserito su Lega Nerd.

Roberta Scalvini è la creatrice dei fantastici Morbid ZOOmbie, i peluches della quale abbiamo parlato qui e in un altro post (che non trovo).

Ella è di una persona molto cordiale e mi ha rilasciato una breve intervista via email.
La riporto qua sotto.

W.J. - Ciao Roberta,
Prima di tutto mi complimento per l’originale idea della realizzazione degli “Morbid ZOOmbie”, dimmi, com’è nata questa linea?

R- I miei prodotti sono nati quasi per caso, inizialmente mi occupavo di statuette fantasy, draghi, folletti, orchi, ecc. Il mercato del fantasy però è stato sommerso da paccottiglia di ogni genere negli ultimi anni e le cose non andavano molto bene.
Poi circa un anno fa per gioco ho prodotto il mio primo “Morbid”, presi un vecchio teddy bear e decisi di dargli un’ aria meno convenzionale. Non avrei mai pensato che tutti ne avrebbero voluto uno!

W.J. – Quali materiali utilizzi?

R – Principalmente utilizzo paste sintetiche e resine bicomponenti.

W.J. – E’ possibile mandarti dei vecchi peluches, così da riciclare anche giocattoli che magari butteremmo via?

R - Ho tentato di lanciare questa iniziativa qualche tempo fa ma non funziona molto bene. Il peluche deve essere in ottimo stato e come dico io deve essere “mostrizzabile”, mi hanno portato delle vere e proprie valige di peluche da buttare, inutile dire che a me è rimasto solo lo smaltimento.

W.J. – Hai mai pensato di ingrandire questa produzione o proporla a qualche ditta di giocattoli/action figures?

R - Ci stiamo lavorando.

W.J. – Alien o Predator?

R - Predator

W.J. – Credi di iniziare a modificare peluches in modo da farli assomigliare a personaggi dei film dell’orrore (o videogiochi del settore come “Resident Evil”) avvicinandoti così al mondo dell’action figures?

R
- Qualcuno dei miei prototipi attualmente porta la mascherina di Hannibal ma bisognerà vedere che piega prenderà la produzione futura in base anche al gradimento di una possibile clientela oltre che al mio personale divertimento. Non escludo niente!

W.J. – Immagino che ti piacciano i film horror, qual’è il tuo preferito e perchè?

R - Non ci crederete ma non sono una patita di film horror! Sono una fifona nata! Preferisco i vecchi film con vecchi effetti speciali, i vecchi classici come Nightmare e senza dubbio Chucky e mi sto facendo una cultura di tutti i film sugli Zombie solo ora.
Quasi scontato è dire che sono una grande fan di Tim Burton. Che diamine, chi non lo è?
Comunque nella realtà sono appassionata di animazione. Sono tenera io!

W.J. - Hai delle future linee strategiche di marketing che intenderai usare (siti internet, negozi online, ecc.)?

R - Sto cercando di capire qual’è il canale giusto per la mia attività.


W.J.
– Freddy Krueger o Jason?

R
- Freddy naturalmente.

W.J. - So che hai creato un concorso (concluso oggi) ed il vincitore riceverà un “Morbid ZOOmbie”. Come mai l’hai fatto? Quali software hai utilizzato per l’estrazione? Ha avuto successo l’idea? Quale peluches riceverà il fortunato vincitore?

R - L’idea dei concorsi gratuiti non è mia, circola su facebook da parecchio (anche se io l’ho scoperto solo ora!). Un modo come un’altro di fare passaparola e farsi conoscere.
Mi è stato suggerito di utilizzare http://www.random.org per questo genere di estrazione, metti il numero dei partecipanti e un software ne estrae uno a caso, voilà il vincitore vincerà un peluche creato appositamente per l’evento di San Valentino, ovviamente ZOOmbie!
Certo ogni tanto queste estrazioni lasciano un po’ di amaro in bocca, queste creature per quanto inanimate sono figli miei, c’è gente che partecipa solo perchè è gratis e magari del mio prodotto non gli interessa nulla. Preferirei premiare i miei veri fan che qualche accozzaglia di mummie che strisciano fuori dal sarcofago solo quando sentono la parola “gratis”!

W.J. – Qual’è il tuo “Morbid ZOOmbie” preferito? Perchè?

R - Senza dubbio il coniglietto blu, l’ho trovato in un autogrill in una nottata allucinante in cui persi le chiavi di casa. Appena l’ho visto ho capito come avrei dovuto mostrizzarlo. Da allora non me ne separo mai.

W.J. – Raccontaci qualcosa di te…

R – Sono una persona confusionaria che vorrebbe fare solo ciò che ama. Ho cominciato a scuola, non ho mai studiato niente a meno che non ne valesse la pena. Divoravo i libri di storia dell’Arte per il puro divertimento di leggerli e sfogliarli ma non li studiavo a memoria, allo stesso modo la letteratura e le scienze. Per quello che riguarda la matematica e la fisica le mie professoresse mi perdoneranno se dirò che per me erano arabo!
Mi sono fatta in quattro per ciò che desideravo imparare questo si… In disegno per esempio quando da bambina ho iniziato il liceo artistico era una desolazione, tutti cinque e mezzo. Con il tempo e l’ostinazione hanno cominciato ad arrivare gli otto e i nove e questo mi rendeva davvero fiera di me stessa! Poi sono passata all’Accademia di Belle Arti e all’Accademia di Arti Digitali a Firenze… Insomma sono stata fortunata oltre che ostinata fino ad ora. Vediamo cosa riserva il futuro a me e ai Morbid ZOOmbie…


W.J.
– Vuoi aggiungere qualcosa?

R - Mi pare di essermi dilungata anche troppo! Posso aggiungere solo…
Muco, interiora, pus e bava!

W.J. – Ti ringrazio per la disponibilità, leggerai a breve l’intervista su http://www.leganerd.com
Ciao
William J.

Aggiungo che questa è la sua pagina Facebook e questo il suo sito (già online ma ancora in fase di costruzione e rifinitura).

Come mai nessuno legge il tuo blog?

Come mai nessuno legge il tuo blog?
Ebbene: hai acquistato un dominio accattivante, hai adottato una piattaforma ad hoc come WordPress, stai scrivendo articoli con una certa regolarità, eppure non arrivano che poche visite al giorno… se ti stai chiedendo cosa fare per migliorare la situazione, ecco alcuni spunti che potrebbero rivelarsi utili.

Anzitutto Yaro ci fa notare che non tutti i blog sono uguali: alcuni blog nascono con il successo già in tasca. Eh si, pensiamo ad esempio al blog di un personaggio pubblico come Beppe Grillo: aldilà delle considerazioni sui contenuti, è evidente che il contatore delle sue visite ha totalizzato decine di migliaia di accessi fin dai primi giorni. Questa è la conseguenza del fatto che un personaggio pubblico come Beppe Grillo gode del beneficio di un suo pubblico già consolidato che lo segue da anni, mentre un blog come il tuo, come il mio e come di tanti altri, i visitatori se li deve conquistare in modo decisamente più faticoso, giorno dopo giorno.

Il problema è che non puoi contare su un budget multi-milionario per far conoscere il tuo lavoro attraverso tutte le agenzie di comunicazione: devi pensare a come fare pubblicità di te stesso, e per giunta con i soli tuoi mezzi. Ecco che quindi si rischia di entrare in una fase un po’ convulsa, quella in cui si comincia a lasciare commenti in giro per la Rete, con lo scopo di ottenere qualche backlink, oppure a frequentare forum cercando di catturare visitatori seminando post sparsi qua e là, oppure a cercare di registrare il proprio URL in tutte le directory di nicchia, senza una vera metodologia, insomma, procedendo un po’ alla rinfusa. Nessuna metodologia, scarsi risultati.

Ed è proprio qui che molti blogger falliscono, secondo Yaro.
Occorre trovare una metodologia, strutturata e adeguata, per far conoscere il tuo blog ad un pubblico più vasto, per non vanificare l’impegno profuso per la redazione dei contenuti.

Procediamo con metodo.

1. Il primo passo per acquisire nuove visite è essere consapevoli che tale mestiere lo dovrai svolgere tu, in prima persona. Nessuno lo farà per te. Nessuno ti aiuterà. Forse suona un po’ eccessivo, ma è un dato di fatto. Il tuo blog è la tua creatura e tu sei l’unico genitore, responsabile unico della sua crescita.

Sei in grado di accettare questa realtà? Sei in grado di accollarti questo onere, soprattutto in un’ottica di medio periodo? Se la risposta è si, allora andiamo avanti!

2. La creazione di un flusso di traffico verso il tuo blog inizia, così come per una rivista, con un concetto molto semplice: occorre scrivere qualcosa che sia utile da leggere! Sarebbe assurdo distribuire una rivista contenente solo un paio di articoli e magari nemmeno tanto originali. Pertanto, prima di pensare al “come trovare visitatori per il tuo blog”, occorre domandarsi: i visitatori che stai rincorrendo leggeranno il tuo blog una volta giunti lì? Il tuo blog è realmente interessante? Contiene informazioni davvero utili?

E’ il momento di dare una bella occhiata al tuo blog per valutare se effettivamente contiene delle informazioni sufficientemente interessanti a catturare l’attenzione dei lettori. Se hai appena lanciato il tuo nuovo blog, c’è una sola cosa di cui non devi preoccuparti: ottenere visitatori! Rimboccati le maniche, e pensa a scrivere, scrivere, scrivere. E soprattutto, scrivere buoni articoli. Già, ma scrivere di cosa? Quali argomenti sarebbe meglio trattare?

3. Scrivi qualcosa che ti appassiona: questo è il piccolo/grande segreto per dare il meglio di te, in modo naturale e anche divertente. E, se ci pensi bene, è anche la motivazione più coerente per cui ha effettivamente senso dare vita ad un blog. Ne ha parlato anche Blographik.it nella sua teleconferenza su “come incrementare il traffico verso il tuo blog“: nell’ottica del medio periodo, per mantenere un impegno costante nella produzione di contenuti utili da pubblicare, è indispensabile scegliere un argomento che ti interessa nella vita di tutti i giorni, altrimenti sarà difficile – nel tempo – mantenere un’adeguata continuità nella scrittura degli articoli.Può essere un hobby, può essere il tuo lavoro, può essere una grande passione che coltivi nei momenti liberi, l’importante è che sia qualcosa con cui ti relazioni o con cui hai a che fare in modo assiduo: solo così anche il tuo blog potrà beneficiare della perseveranza nel seguire l’argomento scelto, scoprire le novità, seguire gli aggiornamenti, e così via. Ma occorre anche fare mente locale, con la giusta dose di determinazione e autocritica, a quali argomenti pensi di poter davvero affrontare nello scrivere su un blog: ad esempio io, pur essendo appassionato di sci alpino, non credo che potrei redigere un blog su Bode Miller e compagni, in quanto mi rendo conto che in Rete ci sono moltissimi siti pieni di informazioni che io non saprei nemmeno dove scovare. E quindi occorre trovare il modo di trasmettere la passione in un blog, ma con la consapevolezza di poter offrire al tuo pubblico informazioni concrete, valide e possibilmente originali.

4. Individua un settore nel quale ti senti realmente competente e nel quale senti di poter rilasciare informazioni davvero utili. Se prendiamo ad esempio un settore come l’informatica, ci sono così tanti argomenti che risulta difficile pensare di poter emergere con un blog di tipo generalista. Devi dunque scegliere un segmento su cui specializzarti, e per far ciò fai mente locale a ciò che davvero ti appassiona sull’argomento fino a fare di te un esperto del settore.

5. Se ciò a cui aspiri, è acquisire una grande popolarità sul Web, individua un argomento in cui ti senti competente, ma che sia anche molto ricercato sui motori di ricerca: se ad esempio digiti su Google costruire un blog otterrai 3.200.000 risultati di ricerca, mentre se digiti costruire un aereo radiocomandato ne otterrai 7.100. E’ quindi evidente che il numero di visitatori che è lecito attendersi è direttamente proporzionale alla popolarità dell’argomento che stai trattando. L’immediata conseguenza di questo fatto, è che nel trattare un argomento molto popolare sarà anche più difficile acquisire autorevolezza, in quanto la competitività sarà sicuramente maggiore.

6. Infine, se non l’hai ancora fatto: fai sapere ai tuoi lettori chi sei!
Nel momento in cui lanci nella blogosfera il tuo blog, assicurati che almeno le seguenti pagine siano presenti:

  • La pagina about / chi siamo
    Chi c’è dietro al monitor? Chi sta scrivendo nel blog? Chi sta rilasciando le informazioni ai lettori? E quale motivazione lo spinge a farlo?

  • La pagina dei contatti
    Cerca di far sì che i tuoi lettori possano contattarti con rapidità e semplicità. Meglio anche includere una tua fotografia: come si dice, un’immagine vale più di mille parole.
    E poi, perchè no, inserisci tutti i possibili strumenti di contatto di cui possano avvalersi i tuoi visitatori: E-Mail, MSN Messenger, Skype, profili MySpace, LinkedIn, Facebook e così via, tutto ciò che ritieni di voler rendere pubblico per i tuoi lettori.


Oltretutto questo è un ottimo modo per aumentare la tua reputazione online: il tuo nome e la tua immagine inizieranno pian pianino a diffondersi nella blogosfera, e con il tempo avrai la possibilità di guadagnarti lo status di blogger affermato, come lo sono diventati alcuni bravissimi personaggi nostrani.

Ecco qua. Grazie a Yaro Starak per averci fornito alcuni spunti su cui dibattere, e grazie a Davide “Tagliaerbe” per l’ospitalità. Spero che queste riflessioni possano essere utili per migliorare la diffusione del tuo (e del nostro) blog.

E tu, che strategie stai adottando?

Autore: Nicola Boschetti, webmaster della web agency NBWeb.it, con la quale si occupa di realizzazione di siti web e internet marketing. Docente di Web Design e di Reti & Networking, da qualche tempo ha trasformato il suo sito aziendale in un blog, per raggiungere e mantenere contatto con i suoi visitatori e clienti in modo più creativo e divertente.
Scritto da Nicola Boschetti su Tagliaerbe.com

domenica 20 marzo 2011

Il loto d’oro (sancun jinlian)


Articolo inserito su Lega Nerd.


Quando avevo sette anni, mia madre mi lavò i piedi, li cosparse di allume e mi tagliò le unghie. Poi mi piegò le dita contro la pianta del piede, legandomele con una fascia lunga tre metri e larga cinque centimetri, cominciando dal piede destro e passando poi al sinistro.Mi ordinò di camminare, ma quando ci provai, il dolore fu insopportabile. Quella notte mi sentii i piedi in fiamme e non riuscii a dormire; mia madre mi picchiò perché piangevo. Nei giorni seguenti cercai di nascondermi, ma fui costretta a comminare sui miei piedi. Dopo alcuni mesi, tutte le dita, tranne l’alluce, erano schiacciate contro la superficie interna. Mia madre mi tolse le bende e lavò il sangue e il pus che mi colavano dai piedi.

Mi disse che solo rimuovendo a poco a poco la carne i miei piedi sarebbero diventati snelli. Ogni due settimane mi mettevo delle scarpe nuove: ogni nuovo paio era di qualche millimetro più piccolo del precedente. D’estate i piedi puzzavano tremendamente di pus e di sangue, d’inverno erano gelidi per la mancanza di circolazione. Le quattro dita arricciate all’indietro sembravano bruchi morti. Ci vollero tre anni perché potessi calzare le scarpe di otto centimetri, le mie caviglie erano sottili, i piedi erano diventati brutti e ricurvi”.

Con il romantico termne “Loto d’oro” viene intesa la deformazione dei piedi praticata in Cina fino ad una settantina di anni fa.

Negli anni ’20, con la caduta di un impero durato circa duemila anni, tale pratica venne resa illegale, ma è continuata nelle periferie delle varie città fino al 1949, cioè fino a quando Mao Zedong proclamò la fondazione della Repubblica Popolare Cinese dalla Piazza Tian’anmen, a Beijing (1° ottobre 1949).

Il termine “Loto D’oro” deriva probabilmente dall’andatura oscillante che assumevano le donne sottoposte a tale “pratica” mentre camminavano, per via dei piedi che arrivavano a misurare una lunghezza tra i 7 e i 12 centimetri.

Per arrivare alla forma desiderata i piedi venivano tenuti fasciati per un periodo di tempo variabile da tre a 10 anni, prima piegando dal secondo al quinto dito (lasciando quindi il l’alluce disteso) e in un secondo tempo avvicindo il “ditone” ed il tallone inarcando il collo del piede. In questo modo avveniva una deformazione delle ossa metatersali e delle articolazioni.

Inoltre i piedi venivano costretti in scarpine letteralmente a misura di bambola, e necessitavano di continue cure in quanto pus ed ulcere si formavano in continuazione e solamente dopo molti anni il corpo riusciva ad abituarsi a tale deformazione. I calli che si formavano di conseguenza venivano “asportati” e non raramente diventava necessario effettuare un taglio sotto la pianta del piede per asportare la carne in eccesso.

Le scarpine venivano fabbricate su misura dalla donna sottoposta “al trattamento”, erano lavorate minuziosamente e potrebbero essere paragonate a vere e proprie opere d’arte; più la calzatura era piccola e lavorata e maggiori erano le possibilità di trovare un marito facoltoso.

Noi occidentali fin dai primi viaggi in Cina rimanemmo stupiti e sconcertati da tale pratica, ma potrebbe essere paragonata a quella del busto (o corpetto, in voga qui da noi fino ad un secolo fa) che deformava le costole, spostava gli organi interni e poteva compromettere la gravidanza.

La leggenda vuole che la prima donna a praticare su se stessa il Loto d’oro fu una concubina imperiale (circa 900 d.C.), che per aggraziarsi i favori dell’imperatore si fasciò i piedi con della seta bianca e ballò per lui la “Danza della luna sul fiore del Loto”.

Inizialmente il Loto d’oro veniva praticato per motivi puramente estetici (anche qui il piede piccolo è sinonimo di bellezza ed anche i tacchi a spillo danno un’andatura “oscillante” alle donne) per poi diventare un vero e proprio simbolo di status sociale. Una donna con i piedi fasciati non poteva ovviamente svolgere lavori nei campi o di fatica, quindi evidentemente doveva avere un marito facoltoso che provvedesse al mantenimento della famiglia. Il prezzo di una concubina veniva fissato anche dalla dimensione dei piedi.

La punta del piedino sporgeva appena dai pantaloni, solitamente col bordo dorato per attirare l’attenzione, creando un gioco di “vedo-non vedo” ritenuto ai tempi eccitante ed erotico, al pari del seno di oggi che può essere intravisto con una maglia scollata. La minuta dimensione dei piedi manteneva i muscoli delle gambe sempre in tensione, modellandole ed ingrossando gli aduttori e restringendo (nell’immaginario maschile) la vagina.

Qui sotto trovate una gallery con radiografie, schemi delle deformazioni ossee, immagini di piedi “sottoposti al trattamento”, scarpine e le foto di un’anziana signora con i piedi dal “Loto d’oro”.

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iLabs Singularity Summit – 2/5 – Intervento di Raymond Kurzweil



Articolo inserito su Lega Nerd e su postumano.com (blog di Daniele Bossari).

Raymond Kurzweil, inventore, scienziato e imprenditore. Nasce a New York il 12 febbraio 1948, si laurea in Informatica e Letteratura al MIT. Definito “the restless genius” dal Wall Strett Journal, è uno dei principali inventori viventi, nonchè esponente mondiale della Singolarità tecnologica. [spoiler show="Mostra approfondimento" hide="Nascondi approfondimento"]



Comincia la sua eccezionale carriera di inventore al liceo, quando scrive il suo primo programma di riconoscimento di motivi musicali, in grado di analizzare i lavori di compositori classici e proporne di nuovi nello stesso stile; all’inizio dell’università crea il Select College Consulting Program, un programma per associare studenti di liceo a università con determinati requisiti.

E’ considerato un pioniere assoluto nel campo del riconoscimento pattern e della sintetizzazione sonora: alla Kurzweil Computer Products si deve il primo sistema di riconoscimento caratteri – il papà di tutti gli OCR – nonché il primo sintetizzatore text-to-speech. L’unione delle due invenzioni divenne la famosa Kurzweil Reading Machine, in grado di dare alle persone cieche la possibilità di capire un testo scritto tramite la lettura automatica dello stesso.

Negli anni Ottanta crea una nuova generazione di tastiere elettroniche in grado di simulare un gran numero di strumenti: per la prima volta, musicisti professionisti non riescono a distinguere il suono di un pianoforte reale da uno simulato.

Dagli inizi degli anni Novanta, Kurzweil è diventato uno scrittore e divulgatore di successo internazionale su temi di Intelligenza Artificiale e futurologia: in particolare, è oggi tra i maggiori esponenti mondiali dell’estensione radicale della vita umana, possibile grazie al raggiungimento della cosiddetta Singolarità tecnologica.


Fondatore della Singularity University e primo speaker allo storico Singularity Summit di Stanford nel 2006, insignito di 16 lauree honoris causa, vincitore di premi quali l’Arthur C. Clarke Lifetime Achievement Award, la National Medal of Technology e il Lemelson-MIT Prize, Raymond Kurzweil è riconosciuto all’unanimità come una delle più grandi menti nella tecnologia del nostro tempo.

http://www.singularitysummit.it


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Eccoci alle seconda parte (di 5) dell’articolo riguardante il “Singularity Summit” organizzato dall’iLabs al Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.
Leggi l’articolo precedente.

Raymond Kurzweil è il primo a salire sul palco. Si presenta come un uomo fisicamente ben diverso dalla classica foto che troviamo in internet o sui libri, mi verrebbe da dire con un’età biologica ben più avanzata. Accendo il traduttore ed ascolto la sua esposizione che incomincia parlando delle aspettative che aveva riguardo ai pc negli anni ’80, affermando che in quella data comprese il segreto del successo umano: Padroneggiare il tempo.

Il discorso si evolve sulla tematica di come internet abbia influenzato lo sviluppo tecnologico in maniera democratica, cioè di come grazie alla rete sia oggi possibile fare successo con pochi capitali (vedi Facebook e Google) e di come aiuti la scienza a prescindere dalla nazionalità dell’internauta-ricercatore. La sua associazione (B.I.O.) si occupa proprio di cercare di prevedere come si svilupperà la tecnologia nel futuro, cercando anche di dare delle date ai vari passi fondamentali che compierà: Per esempio sostiene che il passaggio definitivo delle stampanti da 2D a 3D sarà nel 2020 (vedi foto 2, il violino in secondo piano è stato “stampato/creato” con questa tecnologia).

Molto interessante la riflessione sullo sviluppo non lineare ma esponenziale della telecomunicazione: Il primo telefono ci mise cinquant’anni ad arrivare alle masse, il cellulare sette anni ed infine i social network tre anni.
Credo che ciò renda benissimo l’idea di sviluppo esponenziale, che a livello cellulare riguarda anche gli esseri umani e l’invecchiamento.

Per unire la tematica “tecnologia” alla sfera della biologia prende come esempio le A.I (intelligenze articiciali) menzionando il computer Watson che vinse una sfida durante noto programma televisivo americano Jeopardy (ne abbiamo parlato qui e qui) e di come riesca ad elaborare risposte complesse prendendo come enorme database internet in un tempo largamente inferiore rispetto ad un essere umano.
Paragona i geni a dei software, in quanto sono delle sequenze di dati, ovvero dei ricettori (come degli nei linguaggi di programmazione).
Prendendo degli specifici geni ed inserendoli all’interno del nucleo dei mitocondri verrebbero cambiati alcuni “limiti” (ha gesticolato le virgolette) aumentandone il ciclo vitale fino a 120 anni, e di conseguenza quello dell’organismo umano.

Egli sta attualmente scrivendo un libro sul funzionamento del cervello umano, nella quale spiega che la neocorteccia (o isocorteccia) possiede 1 miliardo di neuroriconoscitori di simboli, quindi trovandosi per esempio di fronte alla parola “Apple” riconoscerà prima la lettera “A” poi la “P” e così via, fino ad unire il tutto. Personalmente non mi trovo completamente daccordo con quest’ultima affermazione, in quanto se noi mischiamo le lettere di ogni parola all’interno di una frase (lasciando nella giusta posizione solamente quella iniziale e quella finale) il cervello le riconoscerà comunque, quindi credo di poter affermare tranquillamente che non vengono riconosciute in ordine (a cascata) bensì in un “insieme”.
“Qeutsa farse ne è un emesipo”.

Altri neuroriconoscitori comprendono il “senso” di una parola all’interno di un contesto, per esempio nel caso dell’ironia, associandole così un nuovo significato rispetto a quello originario.
Secondo i suoi calcoli nel 2028 saremo in grado di avere una simulazione completa di una corteccia cerebrale, ma non sarà ancora in grado di funzionare al 100% perchè il secondo passo sarà quello di “insegnarle” tutta quest’ultima parte (quale l’ironia).

L’intervento si conclude con una domanda seguita da una risposta aperta:
“Quali implicazioni avrà tutto ciò nella vita umana? Non ci è dato di saperlo”.

Nell'approfondimento trovate il dibattito, vi consiglio di leggerlo perchè sono uscite un sacco di questioni interessanti.


[spoiler show="Mostra approfondimento" hide="Nascondi approfondimento"]D=domanda, R=risposta.

D: Lei è a favore del transumanesimo?
R: No, io sono contro il transumanesimo perchè trascenderemmo i limiti della nostra biologia, ma sono a favore di una scienza che cammina a braccetto con la nostra umanità.

D: Il progresso (inteso come raccolta dati nel campo della ricerca) è concentrato nei paesi industrializzati. Secondo Lei la tendenza sta cambiando?
R: Credo che oggi non sia più importante se una scoperta la fa un ricercarore cinese, americano o europeo, perchè darà beneficio a tutti. Dobbiamo ragionare così per il bene della scienza; internet in questo senso aiuta perchè ha aumentato a dismisura la condivisione dei dati e dele informazioni. Più passerà il tempo e sempre più proposte arriveranno a sempre più persone.

D: Qual’è la natura del fenomeno della singolarità? E’ un fenomeno ordinato o caotico?
R: Il termine “singolarità” è una cosa molto intensa, come il centro di un buco nero. C’è un orizzonte degli eventi ove è difficile vedere oltre, ma non impossibile.
La singolarità è un esplosione di intelligenza che aumenta in modo esponenziale, che nel 2045 avremo moltiplicato fondendola con la tecnologia.

D: Il software è scritto in codice binario, mentre quello umano in quaternario (gli aminoacidi sono 4 – N.D. William J.). Non trova azzardata la similitudine che ha fatto prima?
R: Si può rappresentare tutto con 2 bit. Ragionando parallelamente, il cervello esegue miliardi di operazioni al secondo, però il suo sviluppo è molto lento. Con 2 bit facciamo tutto ma facendo sviluppare molto più velocemente (si riferisce allo sviluppo tecnologico – N.D. William J.).

D: Sono Daniele Bossari: So che durante una ricerca in campo farmaceutico Lei ha assunto delle pillole per modificare una debolezza cardiaca causata geneticamente. Come va l’esperimento?
R: Per ora bene (sorrisi in sala). Il prossimo passo sarà provare a sostituire le pillole con la nanotecnologia. Uno dei processi di invecchiamento riguarda la cute. Ora possiamo modificarlo (N.D. William J. – Scriverò a riguardo nel quinto articolo della serie).

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Nel prossimo articolo, il terzo, riporterò l’intervento di Gabriele Rossi, il fondatore di iLabs e C.E.O. Diagramma.

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iLabs Singularity Summit – 1/5


[Articolo inserito su Lega Nerd]


Data la mole degli argomenti trattati dividerò l’articolo in cinque parti; questo sarà di presentazione del summit, scriverò le impressioni personali e come si è svolto, così da dare l’idea dell’atmosfera che si è respirata. Gli altri quattro saranno uno per ogni professore che ha parlato sul palco, che pur con lo stesso obiettivo hanno affrontato argomenti molto differenti tra loro.

Arrivo al Museo della scienza e della Tecnica di Milano alle 9:20 e c’è una ressa enorme, circa duecento persone; tutti son li per l’evento: il Singularuty Summit organizzato da iLabs.

Gli argomenti che verranno trattati riguarderanno la sfera della semi-immortalità, cioè come rendere l’essere umano il più longevo possibile, utilizzando tecnologie, medicina, miglioramento della qualità di vita e non mancheranno riflessioni condite da domande poste dal pubblico presente in sala, che comprende anche geniali professori di filosofia e fisica quantistica, noti a livello mondiale.
Mi aspetto grandi cose, scoprirò di avere ragione.

Prima di tutto noto che non è presente solo una tipologia di persone, siamo tanti e tutti diversi. Dall’ottantenne plurilaureato al ventenne che deve scrivere la tesi; un paio notano la mia felpa di LN e vengono a parlarmi. Tra loro non c’è neanche una donna, uffa.

Prima di entrare in sala ci equipaggiano di traduttore simultaneo inglese-italiano, matita ed una cartelletta contenente programma e schede informative.
Programma:


9:30-10:00 Registrazione

10-:0011:00 Raymond Kurzweil (fondatore Kurzweil Technologies)

11:00-12:00 Gabriele Rossi (fondatore iLabs e C.E.O. Diagramma)

12:00-12:45 Dibattito

Pranzo

14:00-15:00 Antonella Canonico (fondatore C.E.O iLabs)

15:00-16:00 Aubrey De Grey (fondatore Sens Foundation)


Chiedo il permesso di fare delle fotografie, dopo un po’ riesco ad ottenerlo. Entro.
Il mio posto è in quartultima fila, sono davvero lontano, ma iniziato l’evento mi alzo per scattare le fotografie da un’angolazione migliore avvicinandomi al palco per le vie laterali. Noto che in prima fila ci sono due posti liberi, zitto zitto mi siedo e visto che nessuno mi dice nulla, tutto felice inizio a fare il mio dovere di reporter. Dietro di me c’è seduto Daniele Bossari, che più in la si rivelerà una persona ferrata nella materia trattata nel summit.

Dopo i primi due interventi sono le 13:00, quindi è arrivato il momento del pranzo: Lasagne, brasato, patate al forno, dolci vari, spumante, bevande analcoliche varie e caffè. Tutto davvero squisito, non hanno badato a spese.

Rincominciano i lavori, che si protraggono fino alle 17:00 circa.

Posso affermare che è stato uno dei summit più interessanti alla quale abbia partecipato, soprattutto per l’ultimo ospite: Aubrey De Grey (Sens Foundation); una mente allucinante, son rimasto letteralmente a bocca aperta durante tutta la sua esposizione.

Come ho scritto seguiranno altri quattro post: uno per ogni professore.

Nella gallery potete ammirare lo splendido Museo della Scienza e della Tecnica (ove si può fotografare) ed i graffiti presenti al suo interno.

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giovedì 13 gennaio 2011

Ad oggi quante armi esporta l’Italia?




[Articolo inserito su Lega Nerd]

E’ cosa vecchia e risaputa il fatto che la FIAT anni fa (neanche troppi) vendesse le mine antiuomo all’Israele e le ambulanze alla Palestina, un modo che personalmente associo al “Prima te li facciamo saltare e poi li ricoveriamo”.
Ma oggi, che l’azienda costruttrice di automobili italiana per eccellenza non produce più mine, quante sono le armi che esportiamo?

Nel 2009 l’Italia è stata, per il quinto anno consecutivo, il primo paese al mondo per esportazioni di “armi da fuoco” (firearms) di tipo non militare. Brasile(186.000.000) , Germania (127.000.000) e Stati Uniti (114.000.000) son stati preceduti dalla nostra amata “penisola calzaria”, con un ammontare di ben 250.000.000 (duecentocinquantamilioni) di armi da fuoco esportate fuori dal proprio territorio.

I dati son stati forniti dal registro dell’Onu sul commercio internazionale (UN Comtrade) che alla voce SITC Rev.1 – Selected commodities: 89431 (Firearms, excluded military weapons) fornisce i dati relativi alle esportazioni e importazioni mondiali di questa particolare tipologia di prodotti.
Una riflessione: Per chi guarda questa statistica è ovvio che gli Stati uniti abbiano la maggior parte del fatturato interno delle armi, li sono legali, qui parliamo di esportazione.
Continuiamo.

Ovvio che i dati potrebbero essere inesatti, in quanto i paesi son soliti non fornire all’ONU dati realistici ma possiamo comparare con degli altri dati: Quelli delle munizioni vendute.
Se nello stesso database (citato prima con la sigla) compariamo un’altra categoria (HS 93) cioè quella che riguarda “armi e munizioni, loro parti e accessori” (Arms and ammunition; parts and accessories), notiamo che l’Italia risulta al secondo posto (640Milioni$) dopo gli Stati Uniti (3,4 miliardi$). Tenete sempre ppresente che negli Stati Uniti la vendita di munizioni è legale per ovvi motivi. Al terzo posto c’è il Regno Unito (con 591 milioni $), poi seguono Germania e Federazione russa, rispettivamente con 554 e 495 Milioni di $.

Per quanto riguarda le munizioni italiane anche l’ISTAT ha confermato questi numeri
registrando esportazioni dal Belpaese di oltre 943 milioni di euro: si tratta di un record ventennale, che si aggiunge a quello per gli armamenti di tipo militare.

Per quanto riguarda le “armi da fuoco” (escluse quelle militari) riportate dal registro Onu (SITC Rev.1 – 89431) il maggior acquirente (si parla sempre del 2009) fu proprio l’America, o meglio: Gli Stati Uniti, con oltre 104 milioni di dollari, seguiti da Francia (23) e Russia(20) che ufficialmente ha comprato da “noi” 19.192 armi.
Seguono Regno Unito, Germania, Spagna e Grecia e poi si trova la prima sorpresa: la Libia che con oltre 6 milioni di dollari ($ 6.136.275) e 3.706 armi per un peso complessivo di oltre 10mila chili è l’ottavo acquirente di “firearms” italiane (CIT.).

Nello stesso anno in Libia “abbiamo” venduto quasi 11 milioni di dollari di “arms and ammunition” (HS 93): un dato confermato dal database dell’Istat che, per lo stesso anno, riporta oltre 8 milioni di euro di esportazioni di “armi e munizioni”.
Da notare che nel 2006 queste esportazioni non superavano i 1.394 euro; a me vien da pensare che i venditori libici di armi sportive, da difesa e da caccia abbiano trovato nell’Italia (viste le date concedetemi: di questo governo) un nuovo e quanto mai disponibile fornitore.

Gli Emirati Arabi Uniti: nel 2009 hanno importato quasi 2 milioni di dollari ($1.897.850) di “armi da fuoco”, ma secondo l’Istat sono oltre 28 milioni di euro le esportazioni di “armi e munizioni” verso Abu Dhabi nell’ultimo biennio.

Calcolando che quest’anno c’è stata una recente proposta di modifica della legge 185 del 1990 che intenderebbe “rendere le norme più consone alle mutate esigenze del comparto per la difesa e la sicurezza sia istituzionale che industriale”, la mia domanda è: ha senso, o meglio: è etica questa strategia commerciale?
A voi la parola.

Tatuaggi giapponesi – Storia e simbologia


[Articolo inserito su Lega Nerd]
I tatuaggi, in Giapponese, (“irezumi” ireru inserire sumi inchiostro) o “horimono” (horu inscrivere mono qualcosa) nascono nel periodo Edo ed hanno come caratteristica principale, quella di ricoprire gran parte del corpo.Era una decorazione tipica di una parte della società giapponese, chiamata del “mondo fluttuante”, (“Ukiyo-e” corrente artistica sviluppatasi nel periodo Edo) che comprendeva giocatori d’azzardo, commercianti, pompieri ed in genere tutti coloro che svolgevano i lavori più gravosi, tra cui anche i “mafiosi”, che all’epoca non avevano un’accezione negativa, così come nei tempi moderni.

Tale decorazione era utilizzata sia come segno di riconoscimento per il proprio coraggio e valore morale che con l’intento di distinguersi dagli altri; a tale scopo, le immagini scelte, celavano in sé un alto e profondo valore simbolico.

Per “mondo fluttuante”, si intende non solo uno stile artistico di quest’epoca specifica, ma delinea e rappresenta, attraverso le immagini, l’identificazione della nuova classe borghese che, a seguito della crisi dell’aristocrazia feudale, apportò ad una radicale trasformazione sociale, a favore delle nuovi classi emergenti borghesi.
Letteralmente il termine “ukiyo”, di origine buddhista, indicava la transitorietà delle cose e l’esigenza del saggio di rifuggire dall’attaccamento ai beni terreni, ma nel ‘600, tale significato originario fu storpiato e re-interpretato nel modo esattamente opposto ed inteso, quindi, come l’esigenza di valorizzare proprio quei piaceri effimeri e fuggevoli della vita.

“Fluttuare, perdendosi nel piacere e allontanando la malinconia della realtà e del dolore” tale era il “credo” dell’epoca, testimoniato dalle immagini, realizzate da artisti, pittori, grafici e incisori che hanno raccontato questa nuova visione estetica sopravvissuta per oltre due secoli.

Sotto il dominio dei Tokugawa, nell’epoca successiva, il tatuaggio fu invece proibito ed iniziò ad essere nascosto sotto gli abiti ed assunse quella caratteristica forma “a vestitino”, con il quale si identifica il tatuaggio giapponese.

La pratica del tatuaggio divenne, quindi, clandestina e sopravvisse per passa parola, grazie soprattutto agli yakuza. Il rapporto tra yakuza, criminalità organizzata giapponese, e il tatuaggio, nasce più o meno in questo periodo.

La pratica del tatuaggio si diffuse nell’ambiente Yakuza inizialmente per garantire “credibilità” agli occhi dei protetti ed allo stesso tempo, per intimidire gli avversari. Questo è il motivo per cui il tatuaggio anche ai nostri giorni è considerato in Giappone come un distintivo della yakuza e quindi un simbolo identificativo di appartenenza alla “mafia giapponese”.

Ogni immagine scelta, con cui l’esponente yakuza voleva rappresentarsi, aveva quindi un alto e profondo valore simbolico, con il quale egli voleva enfatizzare un particolare lato del proprio carattere.

E’ per questo che l’iconografia dei tatuaggi giapponesi è facilmente distinguibile dagli altri generi, poiché si riassume spesso nelle tradizionali immagini della simbologia shintoista:l’onda, la carpa, la cascata, i fiori di ciliegio, ecc.
Via: http://japanesetattoo.webnode.com

Anticipo di non essere un esperto in materia (pur avendo tre tatuaggi ed un piercing) e di non parlare l’idioma giapponese; se trovate errori correggetemi pure che edito.

Un po’ di simbologia dei tatuaggi giapponesi:

Carpa koi koe: un’antica leggenda giapponese narra che una carpa con grande fatica risalì le cascate, sino a giungere ai cancelli delle porte del cielo. Come segno di riconoscenza per questo immane sforzo venne trasformata in drago, infatti possiamo notare che i draghi sono rappresentati ricoperti di squame di carpa. Sul sito citato nella parte quotata in alto leggo:
“nell’acqua della cascata galleggiano alcuni fiori di ciliegio, che ricordano che la ricerca della carpa è comunque effimera, perché la vita ha comunque una conclusione certa”.



Drago: Può essere visibile o no a suo piacimento e può trasformarsi. In primavera sale nei cieli ed in autunno entra in acqua. Si ricopre di fango nell’equinozio d’autunno ed emerge in primavera, per annunciare il risveglio della natura. Simbolo della forza produttiva umana ma anche di saggezza, forza e potere esso sputa fuoco o acqua sotto forma di nubi a spirale. Queste nuvole sono la simbologia delle forze cosmiche. E’ anche simbolo di serena accettazione della morte, come conseguenza del compimento del proprio destino.



Demoni o Oni: Sono creature soprannaturali, guardiani dell’inferno buddista, dispettosi e divoratori di umani essi sono la causa di epidemie e malattie.
Secondo una leggenda si sarebbero convertiti al buddhismo diventando forze benevole e protettrici. Il demone rai-jin è il dio del tuono che tiene tra le proprie mani le bacchette del tamburo con cui libera i suoi tuoni. Il fù-jin è il dio dei lampi e del vento, elementi che tiene nel sacco e durante i temporali scaraventa sulla terra. Il demone oni è un demone aggressivo, violento e crudele. Di solito è rappresentato con due corna, ha il volto color rosa, rosso o grigio-azzurro simile alle maschere del teatro no.
Via.




Cane di Fo: Chiamato anche drago di Buddha il Drago-cane è atto alla protezione dei templi. Simboleggia spirito forte e protezione ed è una divinità della religione shinto giapponese derivante dal buddhismo. Figura benevola che porta salute, prosperità e ricchezza.


Non ho trovato immagini decenti che lo raffigurano in un tatuaggio, comunque è questo qua sotto:


Fiore di ciliegio: Simbolo di tutte le cose emmifere che durano poco in quanto basta un po’ di pioggia per farlo cadere. Si utilizza per coprire le parti del corpo attorno ai personaggi principali del tatuaggio. Inizialmente impresso sul corpo dei samurai e successivamente dagli appartenenti alla yakuza per rappresentare la situazione di estrema precarietà della loro esistenza che può terminare in qualsiasi istante in combattimento. E’ interessante come nei secoli un simbolo così delicato abbia acquistato un significato tanto violento.



Fonti:
J-horror
Japanesetattoo
Fabri_82
Wikipedia

I miei quindici anni con un lupo







[Articolo inserito su Lega Nerd]

Mi scuso in anticipo per la qualità delle foto che son state scattate con il cellulare ad altre due fotografie sviluppate.

Come richiesto nei commenti inseriti in quest’articolo provo a scrivere della mia vita con Iako, il lupo che mi ha accompagnato per quindici anni.
Non so bene cosa digitare, non ho mai fatto un post su mie esperienze personali, provo a buttar giù e vedo cosa ne viene fuori.

Sedici anni fa, nel 1994 dei miei amici partirono per i boschi di Ovada (per la precisione Lerma, AL) per trascorrere una settimana di campeggio libero, allora si poteva ancora.
Arrivati piazzarono le tende e sentirono dei lamenti di cane, cercando trovarono una tana con una lupa morta e dei cuccioli che evidentemente avevano bisogno di aiuto.
Prestarono le prime cure comprando del latte e si allontanarono qualche centinaio di metri per non disturbare l’eventuale branco nel caso fosse tornato. Non fu così, tornarono tutti i giorni a vedere e furono costretti a sfamare i piccoli per non farli morire.
A quanto mi raccontarono nel momento della partenza si parlarono, ponendosi il problema su che cosa fare: Sarebbe stato giusto toglierli da quel luogo? Sarebbe stato giusto salvarli? Avrebbero dovuto chiamare la forestale? Cosa fare?
Non entro nel merito, fatto sta che decisero di portarli con se, vivevano in una grande cascina milanese (Vaianovalle) e quindi di spazio ne avevano.
Arrivati alla Stazione Centrale di Milano, come da accordi mi trovarono li ad aspettarli, quando uno sgorbietto saltò fuori dalla cesta, capitolando in terra rovinosamente. Mi ricordo ancora le espressioni preoccupate sui volti dei miei amici, ma nulla… Esso si alzò come se nulla fosse e corse verso di me. Proprio verso me, in mezzo a tutta la gente presente in stazione, e si mise a scodizzolare sul mio piede cercando di alzarsi usando la mia gamba “a mo di aggrappino”.
Ci salutammo e mi chiesero (testuali parole):
“lo vuoi”?
“Lui ha voluto me”. Risposi.
Da quel momento diventammo inseparabili (vi faccio notare che all’epoca avevo 13 anni) sopratutto per il rapporto alquanto strano che avevamo, determinato dal fatto che lui non era un cane come tutti gli altri, bensì un lupo, con tutti gli istinti e le caratteristiche che lo contraddistinguevano.
Per esempio vedeva in me non un padrone, ma un capobranco da seguire, quando mi sedevo, ovunque io fossi, qualunque cosa ci fosse cinque metri più in la (anche una grigliata di carne) lui si accucciava a fianco a me. Se mi mi alzavo, facevo un passo e mi fermavo, lui si alzava faceva un passo e si risedeva a fianco a me. Quando beveva non usava la lingua, succhiava. Alcune caratteristiche fisiche erano un po’ diverse, come per esempio i canini più lunghi rispetto agli altri cani. Queste per citarne alcune.
Da quando feci 16 anni decisi di fare tutti gli anni una settimana di vacanza apposta per lui, andando da solo con il mio fidato amico a quattro zampe in mezzo ai boschi dov’era nato, buttandomi proprio in mezzo, a circa cinque o sei chilometri lontano dalla civiltà, seguendo un ruscello ove potevo pescare per cibarmi.
La mattina lui attendeva che io mi svegliassi per guardarmi e poi sparire nella vegetazione tornando solamente la sera quando andava via la luce, tutto morsicato e felice. Non ho mai dovuto dargli da mangiare quand’eravamo li. Esattamente come io pensavo a me lui si procurava il cibo; era felice così, lo ricordo bene.
Di notte è capitato di sentire altri lupi ululare, e lui gli rispondeva, non mi è mai successo che il branco si avvicinasse; non so se sia vero ma mi è sempre piaciuto pensare che fosse grazie a lui.

La vita in città con un animale del genere non mi ha mai dato problemi, è sempre stato slegato e non gli ho mai dovuto insegnare a fermarsi al ciglio della strada, l’ha sempre fatto lui inconsciamente.
Non ha mai attaccato un altro cane, se non per difesa, e quando è accaduto si notava davvero la differenza tra un cane ed un lupo, dalle tecniche di caccia e difensive che erano intriseche nel suo istinto.
Riporto l’aneddoto che ho inserito nei commenti nell’altro post:
E’ capitato che un cane corso



scappò dalla padrona correndo con aria davvero minacciosa verso di noi… L’unica cosa che ho potuto fare fu lasciare anche il mio, altrimenti legato al guinzaglio me l’avrebbe fatto fuori. Iako si mise a correre allontanandolo da me, e l’altro lo inseguì. Tempo dieci passi e si è girò di scatto abbassandosi e prendendolo al collo.
Vidi l’altro cane cadere a terra e gridai: “Fermo”! Subito il mio amico lasciò la presa. L’altro cane stava bene, per fortuna aveva solo due buchetti sul collo e perdeva un po’ di sangue ed è rimasto li a terra facendosi coccolare dalla padrona più spaventata di lui che ebbe pure il coraggio di avere da ridire, al grido di: “il mio piccolo, il mio cucciolino”.
Ci mancava soltanto che la stronza lo chiamasse Fufi.
Constatato che il suo “cucciolino” stava bene un paio di vaffanculo e me ne andai.
La cosa che mi colpì in quell’occasione fu che Iako non era agitato per nulla, tranquillissimo, come se non avesse neanche vissuto quell’esperienza iniziò a spisciazzare qua e la per coprire gli odori degli altri maschi (come fanno tutti i cani).
Cazzarola, io avevo il cuore a mille e quello guardava le farfalle, tant’è…

Purtroppo l’anno scorso si ammalò gravemente, nel giro di tre settimane gli si svilupparono dei tumori (cazzarola, nei cani è una cosa rapidissima) e soffriva sempre di più.
Un giorno vidi la scena di lui che leccava la propria urina da terra per non farmela trovare e quando si accorse che l’avevo visto fece un’espressione di vergogna che non dimenticherò mai. Non l’avevo mai visto così.
Nel giro di due giorni non riusciva neanche più ad alzarsi, ci provava ma cadeva sbattendo qua e la, ma comunque cercava di arrivare a me, per poi appoggiare la testa sulle mie gambe.
Passai un’ultima notte nella sua cuccia con Lui appoggiato a me che si lamentava.
Presi la decisione: optai per fargli praticare l’eutanasia il giorno dopo; mi sembrava la scelta più doverosa verso chi mi è stato vicino per tutta la sua vita e non mi ha mai tradito. Non potevo proprio farlo soffrire oltre.

Non mi sento di aggiungere altro.