giovedì 13 gennaio 2011

Ad oggi quante armi esporta l’Italia?




[Articolo inserito su Lega Nerd]

E’ cosa vecchia e risaputa il fatto che la FIAT anni fa (neanche troppi) vendesse le mine antiuomo all’Israele e le ambulanze alla Palestina, un modo che personalmente associo al “Prima te li facciamo saltare e poi li ricoveriamo”.
Ma oggi, che l’azienda costruttrice di automobili italiana per eccellenza non produce più mine, quante sono le armi che esportiamo?

Nel 2009 l’Italia è stata, per il quinto anno consecutivo, il primo paese al mondo per esportazioni di “armi da fuoco” (firearms) di tipo non militare. Brasile(186.000.000) , Germania (127.000.000) e Stati Uniti (114.000.000) son stati preceduti dalla nostra amata “penisola calzaria”, con un ammontare di ben 250.000.000 (duecentocinquantamilioni) di armi da fuoco esportate fuori dal proprio territorio.

I dati son stati forniti dal registro dell’Onu sul commercio internazionale (UN Comtrade) che alla voce SITC Rev.1 – Selected commodities: 89431 (Firearms, excluded military weapons) fornisce i dati relativi alle esportazioni e importazioni mondiali di questa particolare tipologia di prodotti.
Una riflessione: Per chi guarda questa statistica è ovvio che gli Stati uniti abbiano la maggior parte del fatturato interno delle armi, li sono legali, qui parliamo di esportazione.
Continuiamo.

Ovvio che i dati potrebbero essere inesatti, in quanto i paesi son soliti non fornire all’ONU dati realistici ma possiamo comparare con degli altri dati: Quelli delle munizioni vendute.
Se nello stesso database (citato prima con la sigla) compariamo un’altra categoria (HS 93) cioè quella che riguarda “armi e munizioni, loro parti e accessori” (Arms and ammunition; parts and accessories), notiamo che l’Italia risulta al secondo posto (640Milioni$) dopo gli Stati Uniti (3,4 miliardi$). Tenete sempre ppresente che negli Stati Uniti la vendita di munizioni è legale per ovvi motivi. Al terzo posto c’è il Regno Unito (con 591 milioni $), poi seguono Germania e Federazione russa, rispettivamente con 554 e 495 Milioni di $.

Per quanto riguarda le munizioni italiane anche l’ISTAT ha confermato questi numeri
registrando esportazioni dal Belpaese di oltre 943 milioni di euro: si tratta di un record ventennale, che si aggiunge a quello per gli armamenti di tipo militare.

Per quanto riguarda le “armi da fuoco” (escluse quelle militari) riportate dal registro Onu (SITC Rev.1 – 89431) il maggior acquirente (si parla sempre del 2009) fu proprio l’America, o meglio: Gli Stati Uniti, con oltre 104 milioni di dollari, seguiti da Francia (23) e Russia(20) che ufficialmente ha comprato da “noi” 19.192 armi.
Seguono Regno Unito, Germania, Spagna e Grecia e poi si trova la prima sorpresa: la Libia che con oltre 6 milioni di dollari ($ 6.136.275) e 3.706 armi per un peso complessivo di oltre 10mila chili è l’ottavo acquirente di “firearms” italiane (CIT.).

Nello stesso anno in Libia “abbiamo” venduto quasi 11 milioni di dollari di “arms and ammunition” (HS 93): un dato confermato dal database dell’Istat che, per lo stesso anno, riporta oltre 8 milioni di euro di esportazioni di “armi e munizioni”.
Da notare che nel 2006 queste esportazioni non superavano i 1.394 euro; a me vien da pensare che i venditori libici di armi sportive, da difesa e da caccia abbiano trovato nell’Italia (viste le date concedetemi: di questo governo) un nuovo e quanto mai disponibile fornitore.

Gli Emirati Arabi Uniti: nel 2009 hanno importato quasi 2 milioni di dollari ($1.897.850) di “armi da fuoco”, ma secondo l’Istat sono oltre 28 milioni di euro le esportazioni di “armi e munizioni” verso Abu Dhabi nell’ultimo biennio.

Calcolando che quest’anno c’è stata una recente proposta di modifica della legge 185 del 1990 che intenderebbe “rendere le norme più consone alle mutate esigenze del comparto per la difesa e la sicurezza sia istituzionale che industriale”, la mia domanda è: ha senso, o meglio: è etica questa strategia commerciale?
A voi la parola.

Tatuaggi giapponesi – Storia e simbologia


[Articolo inserito su Lega Nerd]
I tatuaggi, in Giapponese, (“irezumi” ireru inserire sumi inchiostro) o “horimono” (horu inscrivere mono qualcosa) nascono nel periodo Edo ed hanno come caratteristica principale, quella di ricoprire gran parte del corpo.Era una decorazione tipica di una parte della società giapponese, chiamata del “mondo fluttuante”, (“Ukiyo-e” corrente artistica sviluppatasi nel periodo Edo) che comprendeva giocatori d’azzardo, commercianti, pompieri ed in genere tutti coloro che svolgevano i lavori più gravosi, tra cui anche i “mafiosi”, che all’epoca non avevano un’accezione negativa, così come nei tempi moderni.

Tale decorazione era utilizzata sia come segno di riconoscimento per il proprio coraggio e valore morale che con l’intento di distinguersi dagli altri; a tale scopo, le immagini scelte, celavano in sé un alto e profondo valore simbolico.

Per “mondo fluttuante”, si intende non solo uno stile artistico di quest’epoca specifica, ma delinea e rappresenta, attraverso le immagini, l’identificazione della nuova classe borghese che, a seguito della crisi dell’aristocrazia feudale, apportò ad una radicale trasformazione sociale, a favore delle nuovi classi emergenti borghesi.
Letteralmente il termine “ukiyo”, di origine buddhista, indicava la transitorietà delle cose e l’esigenza del saggio di rifuggire dall’attaccamento ai beni terreni, ma nel ‘600, tale significato originario fu storpiato e re-interpretato nel modo esattamente opposto ed inteso, quindi, come l’esigenza di valorizzare proprio quei piaceri effimeri e fuggevoli della vita.

“Fluttuare, perdendosi nel piacere e allontanando la malinconia della realtà e del dolore” tale era il “credo” dell’epoca, testimoniato dalle immagini, realizzate da artisti, pittori, grafici e incisori che hanno raccontato questa nuova visione estetica sopravvissuta per oltre due secoli.

Sotto il dominio dei Tokugawa, nell’epoca successiva, il tatuaggio fu invece proibito ed iniziò ad essere nascosto sotto gli abiti ed assunse quella caratteristica forma “a vestitino”, con il quale si identifica il tatuaggio giapponese.

La pratica del tatuaggio divenne, quindi, clandestina e sopravvisse per passa parola, grazie soprattutto agli yakuza. Il rapporto tra yakuza, criminalità organizzata giapponese, e il tatuaggio, nasce più o meno in questo periodo.

La pratica del tatuaggio si diffuse nell’ambiente Yakuza inizialmente per garantire “credibilità” agli occhi dei protetti ed allo stesso tempo, per intimidire gli avversari. Questo è il motivo per cui il tatuaggio anche ai nostri giorni è considerato in Giappone come un distintivo della yakuza e quindi un simbolo identificativo di appartenenza alla “mafia giapponese”.

Ogni immagine scelta, con cui l’esponente yakuza voleva rappresentarsi, aveva quindi un alto e profondo valore simbolico, con il quale egli voleva enfatizzare un particolare lato del proprio carattere.

E’ per questo che l’iconografia dei tatuaggi giapponesi è facilmente distinguibile dagli altri generi, poiché si riassume spesso nelle tradizionali immagini della simbologia shintoista:l’onda, la carpa, la cascata, i fiori di ciliegio, ecc.
Via: http://japanesetattoo.webnode.com

Anticipo di non essere un esperto in materia (pur avendo tre tatuaggi ed un piercing) e di non parlare l’idioma giapponese; se trovate errori correggetemi pure che edito.

Un po’ di simbologia dei tatuaggi giapponesi:

Carpa koi koe: un’antica leggenda giapponese narra che una carpa con grande fatica risalì le cascate, sino a giungere ai cancelli delle porte del cielo. Come segno di riconoscenza per questo immane sforzo venne trasformata in drago, infatti possiamo notare che i draghi sono rappresentati ricoperti di squame di carpa. Sul sito citato nella parte quotata in alto leggo:
“nell’acqua della cascata galleggiano alcuni fiori di ciliegio, che ricordano che la ricerca della carpa è comunque effimera, perché la vita ha comunque una conclusione certa”.



Drago: Può essere visibile o no a suo piacimento e può trasformarsi. In primavera sale nei cieli ed in autunno entra in acqua. Si ricopre di fango nell’equinozio d’autunno ed emerge in primavera, per annunciare il risveglio della natura. Simbolo della forza produttiva umana ma anche di saggezza, forza e potere esso sputa fuoco o acqua sotto forma di nubi a spirale. Queste nuvole sono la simbologia delle forze cosmiche. E’ anche simbolo di serena accettazione della morte, come conseguenza del compimento del proprio destino.



Demoni o Oni: Sono creature soprannaturali, guardiani dell’inferno buddista, dispettosi e divoratori di umani essi sono la causa di epidemie e malattie.
Secondo una leggenda si sarebbero convertiti al buddhismo diventando forze benevole e protettrici. Il demone rai-jin è il dio del tuono che tiene tra le proprie mani le bacchette del tamburo con cui libera i suoi tuoni. Il fù-jin è il dio dei lampi e del vento, elementi che tiene nel sacco e durante i temporali scaraventa sulla terra. Il demone oni è un demone aggressivo, violento e crudele. Di solito è rappresentato con due corna, ha il volto color rosa, rosso o grigio-azzurro simile alle maschere del teatro no.
Via.




Cane di Fo: Chiamato anche drago di Buddha il Drago-cane è atto alla protezione dei templi. Simboleggia spirito forte e protezione ed è una divinità della religione shinto giapponese derivante dal buddhismo. Figura benevola che porta salute, prosperità e ricchezza.


Non ho trovato immagini decenti che lo raffigurano in un tatuaggio, comunque è questo qua sotto:


Fiore di ciliegio: Simbolo di tutte le cose emmifere che durano poco in quanto basta un po’ di pioggia per farlo cadere. Si utilizza per coprire le parti del corpo attorno ai personaggi principali del tatuaggio. Inizialmente impresso sul corpo dei samurai e successivamente dagli appartenenti alla yakuza per rappresentare la situazione di estrema precarietà della loro esistenza che può terminare in qualsiasi istante in combattimento. E’ interessante come nei secoli un simbolo così delicato abbia acquistato un significato tanto violento.



Fonti:
J-horror
Japanesetattoo
Fabri_82
Wikipedia

I miei quindici anni con un lupo







[Articolo inserito su Lega Nerd]

Mi scuso in anticipo per la qualità delle foto che son state scattate con il cellulare ad altre due fotografie sviluppate.

Come richiesto nei commenti inseriti in quest’articolo provo a scrivere della mia vita con Iako, il lupo che mi ha accompagnato per quindici anni.
Non so bene cosa digitare, non ho mai fatto un post su mie esperienze personali, provo a buttar giù e vedo cosa ne viene fuori.

Sedici anni fa, nel 1994 dei miei amici partirono per i boschi di Ovada (per la precisione Lerma, AL) per trascorrere una settimana di campeggio libero, allora si poteva ancora.
Arrivati piazzarono le tende e sentirono dei lamenti di cane, cercando trovarono una tana con una lupa morta e dei cuccioli che evidentemente avevano bisogno di aiuto.
Prestarono le prime cure comprando del latte e si allontanarono qualche centinaio di metri per non disturbare l’eventuale branco nel caso fosse tornato. Non fu così, tornarono tutti i giorni a vedere e furono costretti a sfamare i piccoli per non farli morire.
A quanto mi raccontarono nel momento della partenza si parlarono, ponendosi il problema su che cosa fare: Sarebbe stato giusto toglierli da quel luogo? Sarebbe stato giusto salvarli? Avrebbero dovuto chiamare la forestale? Cosa fare?
Non entro nel merito, fatto sta che decisero di portarli con se, vivevano in una grande cascina milanese (Vaianovalle) e quindi di spazio ne avevano.
Arrivati alla Stazione Centrale di Milano, come da accordi mi trovarono li ad aspettarli, quando uno sgorbietto saltò fuori dalla cesta, capitolando in terra rovinosamente. Mi ricordo ancora le espressioni preoccupate sui volti dei miei amici, ma nulla… Esso si alzò come se nulla fosse e corse verso di me. Proprio verso me, in mezzo a tutta la gente presente in stazione, e si mise a scodizzolare sul mio piede cercando di alzarsi usando la mia gamba “a mo di aggrappino”.
Ci salutammo e mi chiesero (testuali parole):
“lo vuoi”?
“Lui ha voluto me”. Risposi.
Da quel momento diventammo inseparabili (vi faccio notare che all’epoca avevo 13 anni) sopratutto per il rapporto alquanto strano che avevamo, determinato dal fatto che lui non era un cane come tutti gli altri, bensì un lupo, con tutti gli istinti e le caratteristiche che lo contraddistinguevano.
Per esempio vedeva in me non un padrone, ma un capobranco da seguire, quando mi sedevo, ovunque io fossi, qualunque cosa ci fosse cinque metri più in la (anche una grigliata di carne) lui si accucciava a fianco a me. Se mi mi alzavo, facevo un passo e mi fermavo, lui si alzava faceva un passo e si risedeva a fianco a me. Quando beveva non usava la lingua, succhiava. Alcune caratteristiche fisiche erano un po’ diverse, come per esempio i canini più lunghi rispetto agli altri cani. Queste per citarne alcune.
Da quando feci 16 anni decisi di fare tutti gli anni una settimana di vacanza apposta per lui, andando da solo con il mio fidato amico a quattro zampe in mezzo ai boschi dov’era nato, buttandomi proprio in mezzo, a circa cinque o sei chilometri lontano dalla civiltà, seguendo un ruscello ove potevo pescare per cibarmi.
La mattina lui attendeva che io mi svegliassi per guardarmi e poi sparire nella vegetazione tornando solamente la sera quando andava via la luce, tutto morsicato e felice. Non ho mai dovuto dargli da mangiare quand’eravamo li. Esattamente come io pensavo a me lui si procurava il cibo; era felice così, lo ricordo bene.
Di notte è capitato di sentire altri lupi ululare, e lui gli rispondeva, non mi è mai successo che il branco si avvicinasse; non so se sia vero ma mi è sempre piaciuto pensare che fosse grazie a lui.

La vita in città con un animale del genere non mi ha mai dato problemi, è sempre stato slegato e non gli ho mai dovuto insegnare a fermarsi al ciglio della strada, l’ha sempre fatto lui inconsciamente.
Non ha mai attaccato un altro cane, se non per difesa, e quando è accaduto si notava davvero la differenza tra un cane ed un lupo, dalle tecniche di caccia e difensive che erano intriseche nel suo istinto.
Riporto l’aneddoto che ho inserito nei commenti nell’altro post:
E’ capitato che un cane corso



scappò dalla padrona correndo con aria davvero minacciosa verso di noi… L’unica cosa che ho potuto fare fu lasciare anche il mio, altrimenti legato al guinzaglio me l’avrebbe fatto fuori. Iako si mise a correre allontanandolo da me, e l’altro lo inseguì. Tempo dieci passi e si è girò di scatto abbassandosi e prendendolo al collo.
Vidi l’altro cane cadere a terra e gridai: “Fermo”! Subito il mio amico lasciò la presa. L’altro cane stava bene, per fortuna aveva solo due buchetti sul collo e perdeva un po’ di sangue ed è rimasto li a terra facendosi coccolare dalla padrona più spaventata di lui che ebbe pure il coraggio di avere da ridire, al grido di: “il mio piccolo, il mio cucciolino”.
Ci mancava soltanto che la stronza lo chiamasse Fufi.
Constatato che il suo “cucciolino” stava bene un paio di vaffanculo e me ne andai.
La cosa che mi colpì in quell’occasione fu che Iako non era agitato per nulla, tranquillissimo, come se non avesse neanche vissuto quell’esperienza iniziò a spisciazzare qua e la per coprire gli odori degli altri maschi (come fanno tutti i cani).
Cazzarola, io avevo il cuore a mille e quello guardava le farfalle, tant’è…

Purtroppo l’anno scorso si ammalò gravemente, nel giro di tre settimane gli si svilupparono dei tumori (cazzarola, nei cani è una cosa rapidissima) e soffriva sempre di più.
Un giorno vidi la scena di lui che leccava la propria urina da terra per non farmela trovare e quando si accorse che l’avevo visto fece un’espressione di vergogna che non dimenticherò mai. Non l’avevo mai visto così.
Nel giro di due giorni non riusciva neanche più ad alzarsi, ci provava ma cadeva sbattendo qua e la, ma comunque cercava di arrivare a me, per poi appoggiare la testa sulle mie gambe.
Passai un’ultima notte nella sua cuccia con Lui appoggiato a me che si lamentava.
Presi la decisione: optai per fargli praticare l’eutanasia il giorno dopo; mi sembrava la scelta più doverosa verso chi mi è stato vicino per tutta la sua vita e non mi ha mai tradito. Non potevo proprio farlo soffrire oltre.

Non mi sento di aggiungere altro.